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‘E poi… niente. Silenzio’. La facciata mortale della ‘democrazia’

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di David Cromwell – 19 febbraio 2020

Se foste matti abbastanza da giudicare la condizione del mondo dalle esternazioni quotidiane dei media ‘prevalenti’, non avreste alcuna comprensione reale dello stato pericoloso della razza umana. O, se nutriste preoccupazioni nel vedere le ultime notizie sul crollo climatico, non sareste pienamente informati circa le potenti élite che stanno dirigendoci tutti a questa catastrofe incombente. Né sareste allertati circa il prioritario e immediato imperativo che il pubblico esercito il proprio grande potere per evitare un disastro quasi inimmaginabile, nientemeno che l’estinzione umana.

Il mese scorso molte fonti giornalistiche hanno in effetti riferito che il famoso ‘Orologio del Giudizio’ si era sposato a 100 secondi dalla mezzanotte, l’ora simbolica dell’apocalisse. E’ stata la prima volta che l’orologio si fosse mai mosso oltre la tacca dei due minuti. Il Bollettino degli Scienziati Atomici ha compiuto questo passo drammatico per segnalare le crescenti minacce globali del crollo climatico e della guerra nucleare. Ban Ki-moon, ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha avvertito:

‘questo deve essere un campanello d’allarme per il mondo’.

Ma il giorno seguente tutto è stato come al solito in politica, industria, transazioni finanziarie e media giornalistici industriali. Questa, naturalmente, non è una sorpresa. Come hanno mostrato gli ultimi tre decenni di patetiche ‘risposte’ governative agli avvertimenti degli scienziati del clima, dopo la creazione del Gruppo Intergovernativo dell’ONU sul Cambiamento climatico nel 1988, settori potenti della società hanno ignorato, persino irriso, i ‘segnali d’allarme’ che minacciano la loro posizione privilegiata e i loro enormi profitti societari.

Ogni anno crollano record climatici. Il mese scorso sono stati redatti i dati climatici ufficiali per il 2019. L’anno scorso è stato il secondo o terzo anno più caldo registrato della temperatura superficiale, a seconda  degli insiemi di dati utilizzati, e l’anno più caldo senza un importante evento di El Niño. E’ stato l’anno più caldo quanto alla temperatura dell’oceano. Ci sono stati minimi record della superficie e del volume del ghiaccio marino nell’Artico e nell’Antartico per gran parte di aprile-agosto. L’estensione minima del ghiaccio artico raggiunta a settembre è stata la seconda più bassa mai registrata. I livelli globali dei mari e le concentrazioni atmosferiche di gas serra hanno toccato nuove vette, mentre i ghiacciai del mondo hanno continuato a sciogliersi.

Quando leader e CEO mondiali si sono incontrati all’annuale Vertice Economico Mondiale (WEF) di Davos, Svizzera, nel gennaio 2020, Greenpeace li ha giustamente accusati di ipocrisia riguardo all’emergenza climatica. Ventiquattro banche che partecipano regolarmente a Davos hanno offerto 1,4 trilioni di dollari di sostegno finanziario al settore degli idrocarburi da quando l’accordo di Parigi ha fissato nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni nel 2015.

Jennifer Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace International, ha segnalato che la dichiarazione della missione del WEF è ‘migliorare lo stato del mondo’. Ma, in realtà:

‘Le banche, assicurazioni e fondi pensione qui a Davos sono colpevoli dell’emergenza climatica. Nonostante avvertimenti ambientali ed economici, stanno alimentando un’altra crisi finanziaria globale sostenendo l’industria dei combustibili fossili. Questi finanziatori di Davos sono nient’altro che degli ipocriti quando dicono di voler salvare il pianete ma in realtà lo stanno uccidendo per profitti di breve termine’.

L’attivista climatica svedese Greta Thunberg ha sollecitato governi e interessi finanziari a smettere immediatamente tutti gli investimenti nell’esplorazione ed estrazione di combustibili fossili, a por fine a tutte le sovvenzioni ai combustibili fossili e a disinvestire completamente dai combustibili fossili. Ha avvertito:

‘nel caso non l’aveste notato, il mondo è attualmente in fiamme’.

La Thunberg ha proseguito:

‘Dite che i bambini non dovrebbero preoccuparsi. Dite: ‘Lasciate semplicemente questo a noi. Lo sistemeremo, vi promettiamo che non vi deluderemo’.

‘E poi… niente. Silenzio. O qualcosa peggio del silenzio. Parole e promesse vuote che danno l’impressione che sia stato intrapreso un intervento sufficiente’.

Queste sono state perle preziose di saggezza. Prevedibilmente, tuttavia, lei è stata sottoposta alle mortificazioni beffarde del potere imperiale. In effetti: ‘Tu non metterai in discussione ciò che noi facciamo’. Più in particolare il Segretario al Tesoro statunitense Steven Mnuchin, prima ha finto di non sapere chi fosse Greta Thunberg, prima di dirle di andare al college a studiare economia. Che il sistema climatico del mondo obbedisca alla fisica, piuttosto che all’economia capitalista, chiaramente non era di nessun interesse per lui.

 

Capitalismo fuori controllo

L’umanità è giunta sull’orlo dell’abisso climatico perché quella che passa per ‘democrazia’ è un mito propagandistico spacciato interminabilmente al pubblico dai politici, dall’alta finanza e dai media statali-industriali. Tale mito agisce come una vernice sottile di copertura del capitalismo globale rampante. Siamo oggi negli stadi terminali di questo sistema distruttivo.

Noam Chomsky ha formulato la contraddizione fondamentale tra la democrazia genuina e il capitalismo in questi termini forti:

‘Personalmente, sono a favore della democrazia, il che significa che le istituzioni centrali della società devono essere sotto il controllo popolare. Oggi, sotto il capitalismo, per definizione non possiamo avere una democrazia. Il capitalismo è un sistema in cui le istituzioni centrali della società sono in linea di principio sotto un controllo autocratico’.

(Citato in ‘Chomsky on Democracy and Education’, a cura di C.P. Otero, RoutledgeFalmer, Londa, 2003, pag. 335).

Possiamo esaminare ulteriormente che cosa questo significhi in pratica. Nel 2013 il Corporate Watch, con sede in Gran Bretagna, un gruppo di ricercatori ed editori non a fini di lucro, ha pubblicato un libro importante intitolato ‘Managing Democracy, Managing Dissent: Capitalism, Democracy and the Organisation of Consent’ [Gestione della democrazia, gestione del dissenso: Capitalismo, democrazia e organizzazione del consenso]. Il libro è stato inevitabilmente ignorato dai media ‘prevalenti’, con zero recensioni, secondo nostre ricerche.

In un’intervista in diretta, Rebecca Fisher, la curatrice del libro, ha spiegato come la presunta ‘democrazia’ in paesi capitalisti avanzati, si distacchi fortemente dalla democrazia genuina:

‘Innanzitutto noi possiamo votare solo una volta ogni quattro o cinque anni a livello nazionale.

‘In secondo luogo, le scelte che ci sono offerte sono gravemente limitate – tutti i partiti politici disponibili sono parecchio omogenei, nessun partito politico ha probabilità di ricevere finanziamenti o sostegno dalla dirigenza se presenta un’alternativa radicalmente differente.’

‘In terzo luogo, decisioni importanti, decisioni strutturali, sono prese da società, istituzioni ed élite nell’interesse del capitale, spesso rigidamente isolato dall’interferenza ‘politica’. E poiché queste imprese esercitano tale potere, tendono anche a esercitare potere sui politici, quasi sempre con un successo maggio re di quello del pubblico’.

La Fisher ha aggiunto un’altra caratteristica essenziale di quella che passa per ‘democrazia’:

‘In quarto luogo, le informazioni su come il mondo funziona, e su quali decisioni sono prese, da chi e per chi, sono strettamente controllate, mediante la manipolazione e il controllo imprenditoriale e statale dei media e di altri sistemi che producono conoscenza. Questo significa che determinati miti e disinformazioni possono esercitare un considerevole potere sull’opinione pubblica; e le opinioni che vanno contro la corrente prevalente sono presentate come ‘illegittime’’.

Il risultato è una ‘democrazia’ in cui:

‘le principali decisioni che influenzano la vasta maggioranza della popolazione mondiale, sono prese da una piccolissima élite di individui e imprese transnazionali, che danno priorità alle esigenze dell’accumulazione del capitale rispetto a qualsiasi preoccupazione umana o ambientale’.

In breve, una democrazia partecipativa genuina e il capitalismo sono fondamentalmente incompatibili. Come nota la Fisher, un meccanismo cruciale per assicurare che il capitalismo mantenga una morsa sulla democrazia reale è l’uso statale-industriale della propaganda. Come ripetutamente ha segnalato Noam Chomsky:

‘La propaganda è per la democrazia, ciò che la violenza è per il totalitarismo. Le tecniche sono state affinate al livello di una grande arte, oltre qualsiasi cosa avesse sognato Orwell. Lo strumento del finto dissenso, comprendente le dottrine della religione di stato e dell’eliminazione del dibattito critico razionale, è uno dei mezzi più subdoli, anche se tecniche più rozze sono pure utilizzate diffusamente e sono molto efficaci nel proteggerci dal vedere ciò che osserviamo, dalla conoscenze dalla comprensione del mondo in cui viviamo’.

(Citato, Otero, op. cit. pag. 212)

Queste ‘tecniche più rozze’ includono il genere di intenso e incessante ‘blitz di propaganda’ cui abbiamo assistito con la cinica diffamazione del leader laburista Jeremy Corbyn quale ‘antisemita’. Come tutti sappiamo, tale blitz ha avuto un grande successo nel tenere Corbyn, e le speranze di socialismo moderato, fuori dal numero 10 di Downing Street.

Temi di interesse fondamentale per il potere, specialmente politica estera e difendere gli interessi del capitale, possono essere realizzati mediante una forte pressione esercitata sul pubblico da un sistema di indottrinamento dall’età giovanile. Chomsky aggiunge:

I media liberali forniscono un servizio particolarmente importante. Stabiliscono i limiti: fin qui e non oltre. Questi limiti incorporano i presupposti fondamentali del sistema della propaganda: gli USA sono dediti alla pace, alla giustizia, ai diritti umani, alla democrazia e ad altre cause nobili, e cercano solo di difendere questi valori dai nostri nemici. Che i media aderiscano a queste condizioni in generale è stato documentato oltre ogni seria contestazione.’

(Citato, ibid., pag. 213)

Negli USA i ‘media liberali’ includono i simili del New York Times e del Washington Post. Nel Regno Unito abbiamo BBC News e il Guardian.

Per indagare la misura in cui gli interessi dell’élite influenzano la politica governativa statunitense, i sociologi Martin Gilens e Benjamin Page hanno esaminato 1.800 decisioni politiche prese da Washington tra il 1981 e il 2002:

‘Il punto centrale che emerge dalla nostra ricerca è che le élite economiche e i gruppi organizzati che rappresentano interessi industriali hanno sostanziali impatti indipendenti sulla politica del governo statunitense, mentre gruppi d’interesse a base di massa e cittadini medi hanno influenza indipendente scarsa o nulla… Cittadini comuni possono spesso essere osservati ‘vincere’ (cioè, ottenere i risultati politici preferiti) anche se non hanno alcun effetto indipendente di nessun genere sulla politica se le élite (con le quali spesso concordano) di fatto prevalgono’.

(Citato, Robert McChesney, ‘Blowing the Roof Off the Twenty-First Century: Media, Politics, and the Struggle for Post-Capitalist Democracy’, Monthly Review Press, New York, 2014, pag. 14) [Far saltare il tetto del ventunesimo secolo: Media, Politica e la lotta per una democrazia post-capitalista].

Come ha scritto il giornalista mediatico statunitense Robert McChesney:

‘In breve, quando la ricchezza organizzata vuole una cosa e la massa del popolo ne vuole un’altra, vincono i soldi, sempre. La ‘democrazia’ è stata ridotta a persone impotenti che tifano per il loro miliardario o per la lobby industriale preferita perché promuova i loro valori e interessi, e sperando che un tale miliardario esista e che loro abbiano fortuna’.

(Ibid., pag. 14)

Anche se la propaganda è un meccanismo chiave nelle società ufficialmente democratiche, anche la violenza può essere, e sarà, impiegata per perseguire obiettivi statali; in particolare nel lanciare attacchi contro ‘nemici’ stranieri. L’analista dei media Gregory Shupak indica la convinzione del governo statunitense circa il suo ‘diritto inalienabile alla violenza’ echeggiato ripetutamente da media compiacenti:

‘Persino in occasione di azioni statunitensi cruciali, i servizi mediatici sui recenti bombardamenti e assassinii statunitensi in Medio Oriente sono basati sul presupposto che gli USA hanno il diritto di usare la violenza (o la minaccia di essa) o affermare la propria volontà, dovunque, in qualsiasi momento. Per contro, la copertura mediatica industriale suggerisce che ogni contromisura – quale la resistenza alla presenza statunitense in Iraq – è intrinsecamente illegittima, criminale e/o terroristica. […] Nell’immaginazione imperiale gli Stati Uniti hanno il diritto di perseguire violentemente i propri obiettivi dovunque vogliano e ogni resistenza è illegittima’.

Chomsky ha osservato in un’intervista recente che gli USA hanno costruito una ‘distopia globale’ mediante la forza bruta delle loro ambizioni imperiali:

‘Questa è storia imperiale standard. Siamo giusto nel mezzo di essa. Non si tratta dell’eccezionalismo statunitense. Si tratta della conformità statunitense alla storia imperiale standard, accanto alla propaganda dell’innocenza, dell’eccezionalismo e via di seguito. E, in modo interessante, i migliori e più brillanti stanno accettando la propaganda. E’ su questo che si concentrano. Non sulla pianificazione imperiale standard; sull’attuazione di essa che, purtroppo, ha parecchio successo. Molti milioni di persone stanno pagando per questo. E’ su questo che dovremmo riflettere’.

 

Insoddisfazione’ per la ‘democrazia’

Ma pochissimi, se ce ne sono, dei fatti vitali di cui sopra e convincenti articoli su capitalismo, imperialismo e democrazia compaiono sui media statali-industriali. Quando il tema è mai introdotto, è affrontato in modo esitante e superficiale in un quadro limitato, favorevole al potere.

Ad esempio, un servizio recente di BBC News ha segnalato che:

‘L’insoddisfazione per la democrazia in paesi sviluppati è al suo livello più elevato da 25 anni, secondo ricercatori dell’Università di Cambridge’.

Lo studio globale era basato su quattro milioni di persone in 3.500 sondaggi. Nel complesso la percentuale degli insoddisfatti era aumentata, dal 1995, dal 48 al 58 per cento.

‘In tutto il globo, la democrazia è in uno stato di malessere’, ha affermato l’autore del rapporto, dott. Roberto Foa.

Il Regno Unito e gli Stati Uniti avevano livelli particolarmente elevati di scontento, con il Regno Unito al 61 per cento. Il servizio della BBC ha fatto una sbrigativa menzione di possibili motivi:

[I risultati dello studio] potrebbero riflettere echi politici e sociali dello ‘shock economico’ del crollo finanziario del 2008, l’inquietudine per la crisi dei profughi del 2015 e gli ‘insuccessi della politica estera’’.

L’espressione viscida ‘insuccessi della politica estera’ è gergo standard per coprire guerre sanguinarie e crimini di aggressione contro Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e altrove, a guida statunitense.

Sepolta in fondo all’articolo della BBC c’era questa affermazione del dottor Foa:

Se la fiducia nella democrazia è andata scemando è perché le istituzioni democratiche hanno mancato di affrontare alcune delle maggiori crisi della nostra era, dai crolli economici alla minaccia del riscaldamento globale’.

E questo è stato quanto. Così, una rara menzione evanescente di dissenso fondamentale a quella che passa per ‘democrazia’ è rimasta priva di una discussione concreta e di un’analisi approfondita della miriade di motivi validi di sfiducia del pubblico nei confronti del governo. La verità è che media statali-industriali tra cui BBC News hanno un ruolo centrale nel mantenere l’opinione pubblica ai margini e lontana dalle leve del potere. L’ignoranza è forza, proprio come scrisse Orwell.  

Si devono consultare media ‘alternativi’ per ricavare sostenute critiche acute della storia terribile del governo britannico sia nella politica interna, sia in quella estera. In un articolo recente per il sito web sudafricano Daily Maverick lo storico e autore britannico Mark Curtis si è occupato di numerose politiche governative britanniche che contravvengono grossolanamente leggi nazionali e internazionali. Curtis ha cominciato notando:

‘Il Segretario agli Esteri britannico Dominic Raab ha recentemente descritto il ‘primato della legge internazionale’ come uno dei ‘fari guida’ della politica estera britannica. Per contro il governo rimprovera stati cui si oppone, quali Russia o Iran, di violare la legge internazionale. Questi governo, conseguentemente, sono spesso definiti ‘stati canaglia’ nella stampa dominante, la presunta antitesi di come operiamo ‘noi’’.

Curtis ha elencato 17 esempi di politiche governative britanniche pessime, tra cui:

  • La guerra dei droni dell’aviazione britannica per attaccare obiettivi in Afghanistan, Iraq e Siria.
  • La complicità britannica nelle violazioni israeliane dei diritti umani; non ultima la punizione collettiva israeliana di Gaza.
  • Esportazioni di armi in Arabia Saudita.
  • La detenzione arbitraria e la tortura di Julian Assange.
  • L’amnistia per crimini commessi da soldati britannici.
  • La sorveglianza di massa del pubblico da parte del GCHQ.

Come Curtis ha indicato, la sua lista di 17 politiche governative britanniche non era esaustiva. Ma anche tale lista abbreviata:

‘suggerisce che l’espressione ‘stato canaglia’ non è sensazionalista o malriposta quando si tratta di descrivere le politica estere e della ‘sicurezza’ della stessa Gran Bretagna’.

Inevitabilmente, qualsiasi deviazione dal copione standard, favorevole al potere, è scagliata contro immediatamente al responsabile strigliato. Il mese scorso la giornalista della BBC Orla Guerin ha fatto brevemente riferimento su BBC News at Ten all’occupazione israeliana di territori palestinesi in un servizio giornalistico collegato al settantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Leader della comunità ebrea britannica ed ex dirigenti della BBC sono saltati addosso alle sue osservazioni ‘ingiustificatamente offensive’ persino accusandola di antisemitismo.

Qual era il presunto ‘crimine’ della Guerin? Sullo sfondo di riprese dello Yad Vashem, il Centro Mondiale del Ricordo dell’Olocausto, a Gerusalemme, la Guerin aveva detto:

‘Nella Sala dei Nomi dello Yad Vashem, immagini dei morti. Giovani soldati entrano in gruppo per condividere la vincolante tragedia del popolo ebreo. Lo Stato d’Israele è oggi una potenza regionale. Da decenni occupa territori palestinesi. Ma alcuni qui vedranno sempre la loro nazione attraverso le lenti della persecuzione e della sopravvivenza’.  

Come ha scritto Jonathan Cook, un giornalista indipendente che vive in Israele e che un tempo lavorava per Guardian/Observer:

‘Quello della Guerin è stato un riferimento molto mite – persino blando – al calvario dei palestinesi dopo il patrocinio europeo, dalla Dichiarazione Balfour del 1917 in poi, di uno stato ebreo come nella loro patria. Non c’è stata alcuna menzione dell’indubbia sofferenza dei palestinesi lungo molti decenni o dei crimini israeliani di guerra documentati contro il palestinesi. Tutto ciò cui la Guerin si è riferita è stata una indiscutibile occupazione che è seguito alla creazione di Israele e che si potrebbe sostenere essere stata un’eredità di essa.’

Il fenomeno lampante di notizie e di giornalismo ammesso rigidamente gestiti – sul crollo climatico, il capitalismo e la politica estera – indica una verità ineluttabile: non ci saranno, e non possono esserci, importanti cambiamenti nella società, senza media genuinamente pubblici. La sopravvivenza umana, molto letteralmente, dipende da essi.

 

da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: https://www.medialens.org/2020/and-then-nothing-silence-the-deadly-facade-of-democracy/

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.


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